Niente soia, siamo umani

Fino ad un secolo fa i semi di soia erano qualcosa di praticamente sconosciuto al di fuori dei confini asiatici. Come lo furono i tuberi delle patate, arrivati in Europa solo alla metà del Cinquecento e considerati a quell’epoca un alimento malsano e di bassissima lega.

Oggi centinaia di milioni di persone in tutto il mondo consumano soia, sia direttamente che in maniera del tutto inconsapevole mangiando carne di pollo, uova e altri alimenti provenienti da animali nutriti con concimi alla soia. Questi semi multi-tasking crescono con grande facilità, nelle condizioni ambientali più disparate, e contengono alti livelli nutrizionali. Ma hanno un costo altissimo per l’ambiente e per l’ecosistema nel suo insieme. La denuncia arriva dal WWF, che ha appena pubblicato un accurato report dal titolo “La crescita della soia, impatti e soluzioni”. Il dossier si inserisce nel quadro di una campagna che il World Wildlife Fund conduce ormai da anni, quella chiamata Living Amazon, rilanciata anche di recente. Quest’ultimo dossier WWF spiega che nel solo 2012 sono stati prodotti circa 270 milioni di tonnellate di soia, il 93% dei quali in soli sei Paesi: Brasile, Stati Uniti, Argentina, Cina, India e Paraguay. La produzione si va espandendo a ritmi serrati anche in Bolivia e Uruguay. <<Consumiamo più soia di quanto crediamo – ha spiegato Eva Alessi responsabile sostenibilità del WWF Italia – ed è quella utilizzata come mangime per maiali e polli e negli alimenti trasformati che sono il vero problema, non certo il tofu o la salsa di soia. La produzione di un chilo di carne di pollo può richiedere oltre mezzo chilo di soia>>. Recenti ricerche nei Paesi Bassi hanno rilevato in effetti come in media vengano consumati 575 grammi di soia per produrre un chilo di carne di pollo. Ampie fette di foresta Amazzonica o di savana, in Sud America, così come vastissime praterie nordamericane se ne vanno in fumo, per far posto alle coltivazioni intensive di soia. Che a sua volta darà da mangiare a polli di batteria, maiali e bovini.

Cresce la domanda nei Paesi emergenti
Certamente la necessità di dedicare i terreni alla coltivazione intensiva di colture destinate ai mangimi si giustifica con la necessità di sfamare fette sempre maggiori di popolazioni povera. Ma non può giustificare la desertificazione del territorio, anche perché la soia viene esportata in gran parte nei Paesi emergenti: l’import di soia dalla Cina è visto in aumento del 59% entro il 2021. Ma anche i mercati africani e quelli del Medio Oriente sono in espansione. Eppure non può avvenire a discapito della vita, della salute e dell’ambiente, dicono gli ambientalisti. La foresta Amazzonica è il termometro naturale del nostro pianeta: estesa per 6,7 milioni di chilometri quadrati, ospita il 10% di tutte le specie animali e vegetali conosciute al mondo. La sua flora è importantissima per la regolazione del clima a livello globale tanto che in un ettaro di territorio si possono trovare da 40 a 300 specie differenti di alberi. Molto preoccupato è il presidente onorario del WWF, Fulco Pratesi, che si è rivolto anche alla Chiesa e che a papa Francesco chiede un’attenzione particolare nei confronti dell’ambiente. <<Ho scritto una lettera al papa quando è stato eletto, dicevo che diversi pontefici hanno espresso la loro preoccupazione per la difesa del creato ma nessuno si è spinto a chiedere attenzione e impegno nei confronti di tutte le specie che compongono la biodiversità, senza la quale gli stessi esseri umani non potrebbero vivere>>, ci ha spiegato in una recente conversazione presso la sede del WWF romano.
<<La rapida crescita della domanda di soia destinata all’alimentazione animale è un fattore che sta causando la distruzione di significative porzioni di foreste, savane e praterie, tra cui l’Amazzonia, il Cerrado, la foresta Atlantica, la foresta Chaco e Chiquitano>> denuncia ancora il WWF. La superficie dedicata alla coltivazione della soia è aumentata di dieci volte negli ultimi 50 anni e si prevede un ulteriore raddoppio entro il 2050. Circa 46 milioni di ettari, una superficie più grande della Germania, è dedicata alla sua coltivazione in America Latina.

La moratoria sulla soia in Brasile
In Brasile il WWF e altre organizzazioni ambientaliste hanno raggiunto un buon compromesso in questi anni: una moratoria sulla coltivazione di soia che ha portato i suoi frutti. Inoltre i controlli ‘legali’ hanno contribuito al calo del 70% del tasso di deforestazione, fino a toccare quota 0,7 milioni di ettari di deforestazione l’anno nel 2009. Nel 2012 un record: il livello di deforestazione è stato il più basso dagli anni Ottanta che costituirono il periodo peggiore. Eppure i successi sono sempre labili e il progresso può regredire in breve tempo. Secondo il Brazil’s National Institute for Space Research almeno 61.500 ettari di riforestazione sono stati spazzati via tra il 2012 e 2013. Molto dipende dal braccio di ferro con i governi, le lobby agricole, e dalle attività dei coltivatori che sfuggono al controllo. Secondo il Sistema di Allerta deforestazione brasiliano, che si avvale di immagini ad alta definizione fornite dai satelliti, gli Stati più colpiti sono quelli di Parà, dove si concentrano i maggiori progetti idroelettrici e minerari, e Mato Grosso, zone di grandi coltivazioni di soia e allevamento di bestiame. <<Nel Mato Grosso la deforestazione è aumentata del 52% in un anno e nel Parà del 37%: sono dati allarmanti>>, aveva spiegato mesi fa il ministro dell’Ambiente Isabella Teixeira. La deforestazione in Amazzonia viene eseguita col metodo “taglia e brucia”: prima si abbattono gli alberi e poi si incendia il sottobosco rimanente.
<<E’ una battaglia continua – ci spiega Claudio Maretti, responsabile di Iniciativa Amazzonia Viva – e il nostro ruolo è quello di portarla avanti instancabilmente perché se ci fermiamo o molliamo la presa si ricomincia daccapo>>.
In ballo c’è la salute del pianeta. Ma a cosa serve la foresta Amazzonica? Anzitutto nelle sue foreste sono immagazzinate dai 90 a 140 miliardi di tonnellate di carbonio. L’Amazzonia è l’ecosistema più ricco al mondo in termini di biodiversità: negli ultimi 50 anni il 17% dell’area forestale è stata distrutta, sebbene fortunatamente l’80% della foresta Amazzonica sia ancora in vita. Sotto la sobria denominazione di Amazon Region Protected Areas Programme (ARPA) si cela il più vasto ed importante progetto globale di protezione della foresta tropicale che sia mai stato creato. Di qui al 2016 una fitta rete di aree protette dovrà assicurare la protezione di 60 milioni di ettari di foresta pluviale dell’Amazzonia brasiliana, una superficie ampia come la Spagna. L’iniziativa servirà ad assicurare un futuro alla maggior parte della diversità biologica locale e ad arginare le devastanti attività di disboscamento. (ilaria de bonis da Popoli e Missione di febbraio 2014)

 

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